I giorni stanno passando veloci. L’odore nell’aria non lo sento più.
Ho visto un po’ di Delhi, girandomela seduta dietro un vecchio scooter nero, roba da remake Bollywood di Vacanze Romane.
Di tutto, c’è di tutto in quest’India.
C’è la cena take-away eco-friendly – il cibo avvolto nelle pagine di giornale – e i ristoranti costosi e kitsh che sto collezionando: quello con la melodia di Per Elisa quando si chiudono le porte dell’ascensore, quello con un treno all’interno – i tavoli come nel vagone ristorante, di tanto in tanto effetti speciali: il rumore di un treno in corsa e le vibrazioni del suolo.
C’è Chandni Chowk, la strada più famosa d’India (che logicamente io non avevo mai sentito nominare), con un mercato per tutto, dove tutti vendono tutto: Yes Madam, yes beautiful Madam, Madam look like Indian Madam, very nice Madam, very cheap Madam.
C’è il muezzin che canta all’alba, le campane che suonano non molto dopo, le mucche pigre a bordo strada, che mangiano quello che capita o ciondolano in mezzo al traffico, le statue di Shiva Vishnu e che gli dei siano con noi.
C’è il buio, la sera: non è che non ci siano luci, semplicemente ce ne sono di meno. E se non guardi bene inciampi in qualcuno che dorme sdraiato per terra.
C’è la gente. Ci sono persone ovunque, uno sproposito di persone. persone colorate, sorridenti, senza dita, senza casa. Persone furbe e troppo furbe, gentili e decisamente troppo gentili. Ci vogliono almeno cinque persone per svolgere qualunque attività: una, a turno, si occupa del lavoro, le altre guardano consigliano e intrattengono in cliente.
Ci sono gli occhi. Che mi fissano, ovunque. Pelle bianca capelli chiari. Martedì ero seduta sulle scale dell’Indian Museum e stavo leggendo la mia guida. Quando ho alzato la testa mi sono ritrovata di fronte una fila di bambini – avranno avuto sei anni – che mi fissavano con gli occhi sgranati. Io ho sorriso e loro si sono dileguati, nemmeno gli avessi fatto buh.
Qualche giorno fa a Delhi, ferma al semaforo, mentre cercavo di risolvere l’indovinello cosa ci fanno dieci Indiani nell’utilitaria qui accanto? Mi sono accorta di essere la principale attrazione in mezzo al traffico: nell’autobus accanto a me tutti –tutti – i passeggeri lato finestrino avevano la testa voltata verso di me.
Fisso tutti e tutto anche io comunque, più e peggio di quanto già non faccia di solito.
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