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Archive for December, 2005

Io oggi ero a casa di Vale, anche detta Pilu ma quasi solo da me. Vale, per quelli che non la conoscono, studia -studia sul serio – gli animali, ha un grande cuore e ha cammbiato colore fi occhiali nel corso degli anni. Da Vale io ho copiato appunti e versioni al liceo, e per me i suoi occhiali sono rossi punto. Vale ama i Peanuts e ha due sorelle, che li amano pure loro. A suon di Snoopie e pazzie di sorelle, io con Vale ho condiviso pomeriggi té biscotti problemi disgusti sogni passioni aimbizioni confusioni e molti molti molti dubbi.

Oggi ero lì, di nuovo.

Sara, detta anche Cuccu (logico, no?), l’ho conosciuta durante una vacanza studio in un posto talmente tremendo da essere proprio tremendo. Sara è da sempre la mia compagna di viaggio preferita. Viaggi insieme abbiamo finito per farne sempre meno (perchè io sono la solita). E la nostra è diventata un’amicizia sparpagliata fata di concerti e regali via posta, telefonate, sms, email. Sara dovreste conoscerla per capire come sa sorridere al mondo senza essere stucchevole. Come sa essere tranquilla senza evitarsi alcune sane incazzature. Come sa essere buona e ironica, insieme, che non è facile.

Alberto (L’Albi) è il cugino di Sara, che per questo è anche detta La Cugi. O forse è L’Albi che è Il Cugi, o magari tutti e due. Insomma Alberto è il cugino di Sara. Si frequentano – frequentano: vivono in simbiosi, semmai – da quando erano i soli esseri pluricellulari a ritenere possibile frequentare l’Università a Torino facendo il pendolare dalla Brianza. Albi fuma mille sigarette e a volte però ha smesso. L’Albi è cominciata che accompagnava Sara a trovarmi ed è finita che qualche volta è venuto qui anche senza Sara a bersi una birra e fare quattro chiacchiere.

Oggi mentre ero seduta con tutti loro nel salotto di casa Marconi pensavo che puoi anche avere voglia di andare a vedere il tempo che fa in tutto il mondo, ma un piccolo paese in cui tornare devi avercelo. Il paese della casa, e degli amici con cui respiri al ritmo giusto, con cui non ti preoccupi di quello che dici o che fai. Quelli che com’è bello e banale ti vogliono bene e basta. Quelli con i grandi sogni e i piedi per terra.

Vale, Sara e Albi sono finiti per essere coinquilini a Torino, in via Vanchiglia. E io che non ci sono mai stata a trovarli tutti insieme, ho sempre pensato che quell’appartamento fosse anche un po’ casa mia.

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Laici a Mezzanotte

Ieri notte: messa di Mezzanotte. La chiesa piena di gente che non vedevo da anni. L’Adeste Fideles. Mentre stavo lì, e rispondevo alla cerimonia con l�automatismo di anni di vita cattolica, mentre rivolgevo i palmi delle mani al cielo per dire invocare un Padre, pensavo. Non so se sono credente. So di non essere praticante e del credo la parte sulla Chiesa non la credo. ma ieri, per la prima volta da tempo ho spogliato quel momento di tutto il clero, l’oro, il potere, gli errori che odio condividere. Quello che ho visto è il da dove vengo. Non la fede o Dio, ma la storia della fede e di Dio che ho sentito raccontare. Quella storia del Signore che abbiamo voluto vedere in un bambino, quegli insegnamenti di pace, perdono, amore per l’altro. Mi è sembrata proprio una bella storia, vera o meno che sia.

All’uscita, sul sagrato, ho incontrato Sarah, Fabricante senior provenienza australiana che bevevo, col suo ragazzo, il vin brulé degli alpini. Quando il mondo si rivela così piccolo è più facile pensare che sia una casa.

Buon Natale.

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Qualche volta le cose si muovono così velocemente che proprio non gli stai dietro. Veloce che c’era quella cosa a cui dovevi pensare ma ora ce n’è un’altra e nemmeno ti ricordi quale problema avevi prima perché ne hai un altro ma nemmeno su quello puoi concentrarti c’è troppo da dire fare baciare seee magari lettere di Natale e testamenti spirituali. Dove sono cosa faccio cosa voglio visto da una prospettiva più ampia tutto sembra piccolo e comunque destinato ad essere gigantesco e tragico poi ci sei dentro e ogni giorno arriva l’una e mezza di notte senza che tu abbia visto nemmeno un film o letto una pagina o scritto qualcosa che abbia un pallido senso.

Delle volte succede così ed è bello sapere che ci saranno le vacanze di Natale.
E come ogni anno non ho voglia di organizzarmi per capodanno. Come ogni anno gli amici penseranno che sono la solita e avranno ragione. Come ogni anno sarò insofferente e felice per i loro rimproveri, confortata nel sapere che qualcuno da qualche parte sa che solita sono. Come ogni anno finirò per dormire molto e non pensare a nulla di tutto quello a cui dovrei pensare. Come ogni anno mangerò troppo e mi sentirò in colpa. Come ogni anno tanto gennaio è il mese delle diete. Come ogni anno la mia mamma frickerà out per organizzare la cena di Natale e piazzare un regalo a ciascuno, e come ogni anno ad un certo punto si calmerà. Come ogni anno mi sentirò sola e farò quei dannati e deprimenti bilanci che ogni anno dicono nalis non è capace di concentrarsi sulle cose importanti. Come ogni anno, sentirò un vuoto nervoso proprio qui. Come ogni anno sarò insoddisfatta e penserò a miliardi di modi in cui potrei spendere megli il mio tempo. Come ogni anno realizzerò che anche se nessuno se ne accorge non ho dato il massimo in un bel niente e ci sono dei pezzi di incompiuto e insufficiente che mi ronzano in testa e si scontrano con l’incuria pigra che nel profondo so di avere. Come ogni anno mi diranno che sono esagerata e troppo esigente. Come ogni anno, casa mia mi sembrerà in disordine. Come ogni anno tutto è cambiato e tutto sembra poi così uguale, e potrei anche essere più tantra e dire che forse è perché dovunque la sola cosa che mi porto dietro è me stessa, illustre sconosciuta, applicata a situazioni contingenti di diversa natura. Come ogni anno, cattivi propositi che non rispetterà.
Come ogni anno, il logorrismo del mio parlarmi addosso resterà immutato. Nella versione appena proposta. E in molte peggiori.

Buone vacanze

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Non ho mai creduto all’esistenza di Babbo Natale: nella mia infanzia nessun vecchio ciccione vestito di rosso pronto a calarsi dal camino. Non ho mai creduto a Babbo Natale perchè io avevo Santa Lucia, che era molto ma molto meglio.

Innanzitutto Santa Lucia aveva i capelli lunghi e un vestito col pizzo ed era bellissima, anche non aveva gli occhi. Secondo, c’era una chiesetta tutta per lei in centro a Bergamo e i bambini le portavano le lettere di persona, non dovevano far arrivare la loro posta fino in Lapponia attraverso i folletti o altri mezzi di dubbia affidabilità. Infine, dettaglio di non poco rilievo, Santa Lucia, a differenza di Babbo Natale, esisteva davvero.
Per ricevere i regali di Santa Lucia era sufficiente seguire poche semplici regole:
1. Fare i bravi tutto l’anno. Diversamente: carbone.
2. Scrivere una letterina con l’elenco dei dni desiderati. Privilegiare incipit come “Cara Santa Lucia, io sono un bambino fortunato e ho già tanti giochi, forse è meglio se porti i regali che ti chiedo ai bambini poveri.”
3. La sera del 12 dicembre lasciare in salotto una tazza di caffellatte per Santa Lucia, carote e fieno per l’asino che l’accompagna e un paio di scarpe, magari scarponcini, per le caramelle.
4. Filare a letto, perché se Santa Lucia trova un bambino sveglio gli getta cenere negli occhi.
La fede in Santa Lucia era costantemente messa a dura prova dalle cattiverie del mondo esterno: la crudele e ingrata accusa “Santa Lucia è la mamma” era sempre dietro l’angolo.
La prima a insinuare il dubbio in mia presenza fu, in terza elementare, la mia compagna di banco. Sua madre aveva parlato: era lei a comprarle i regali di Santa Lucia. Ci pensai su e conclusi che poteva essere vero: quella bambina era cattiva e sicuramente non riceveva che carbone. Per questo la sua mamma, che aveva pena di lei, le comprava dei doni sostituivi. I genitori di noi bravi bambini, invece, non avevano bisogno di simili mezzucci.
Lo stesso anno, il 13 dicembre, trovai sul camino di casa una Barbie Hawai. Quel giorno, a scuola, di nuovo: “Santa Lucia è la mamma”. Questa volta a sostenerlo era un bambino più grande. Questa volta non ci pensai nemmeno: era imposibile, mi dissi stringendo fra le mani il mio regalo. La mia mamma era nemica giurata di Barbie e nemmeno morta me ne avrebbe comprata una: proprio non poteva essere lei Santa Lucia.
Un anno dopo, Santa Lucia aveva mi lasciato dei regali a casa dei nonni, insieme con un insolito biglietto scritto da lei. Lo guardai sospettosa: la grafia era identica a quella della nonna.
All’improvviso tutti indizi che avevo ignorato fino ad allora si resero lampanti, disvelando l’impostura: davvero Santa Lucia non esisteva.
Una volta a casa, andai da papà.
“Ma Santa Lucia esiste?”, chiesi.
“Chiedi alla mamma”.
Andai da lei. “Che ti ha detto papà?”, mi rispose.
Per quanto forte, la mia fede non sopravvisse ad una terza prova. Con orgogliosa rassegnazione, accettai il mio ingresso nel mondo dei grandi.

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Domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente. E finalmente accetteremo il fatto come una vittoria.
(F. De Gregori)

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