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Archive for July, 2007

E poi in Francia, il 21 di giugno, il giorno più lungo dell’anno, c’è la Fête de la musique.Ad ogni angolo di strada: musica. Chiunque può suonare, dove e come gli va. Senza limiti di orario o di volume.
E va da sé: festa, festa fino al mattino.

Poi è logico che quando torno a casa ho appena il tempo di mettere le mie cose in un borsone.
Volo da Charles de Gaulle alle 8 e poco.
Quando riesco a svegliarmi seriamente è già ora di pranzo e sto svuotando un take away giapponese a Charing Cross. Non vedevo l’Inghilterra, tappa obbligata di tutte le mie vacanze estive liceali, da sei anni. E mi ricordavo quasi solo le parti da cartolina: è strano come (non) vedi le cose, quando sei teen. Solo a Southbank tutto aveva un’aria familiare, compresa la grande piazza sempre deserta in cui mi sono ritrovata a camminare nella pioggia con Sa’ una domenica mattina.

Non me la ricordavo così grande, Londra. Né così affascinante, con quella sensazione che qualcosa, lì, si muova davvero e quell’estetica tutta sua che a volte diventa persino comprensibile.

Sarà che non avevo mai conosciuto nessuno che ci vivesse, invece questa volta sono andata a cena in una di quelle case che studiavo alle medie al corso di English and American civilization. Sarà che quella casa ancora tutta da finire sapeva di progetti. Sarà che, circondata dalla delegazione fabricante londinese ho respirato di nuovo quell’aria di sogni in via di realizzazione e di nuovo mi è sembrato di sentirmi chiedere ma ci provi, tu? e a realizzare che?.

E senza che io pensassi ad alta voce la domanda, mi è stata offerta una risposta. Una, non la.

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E poi mi ritrovo a Milano e quasi ho azzeccato l’uscita della metro.

Puntata straordinaria.

Ci sono tutti. Almeno spiritualmente.
C’è quella che sa la strada. Quello che mi fa ridere. Quella che si veste da Indiana Jones ma sbaglia gli attacchi.
C’è quella davvero troppo bella. E brava, come se non bastasse.
C’è uno striscione che dice tutto.
Ci sono molti sorrisi. E lunghi sguardi: è passato del tempo; ne passerà ancora?
C’è un trancio di pizza notturno con contorno di attori.
Ci sono nuove conoscenze che ricordano Parigi con cadenza napoletana.
Ci sono due caviglie secche che spuntano da un impermeabile. Davanti a me, fanno strada. Ne hanno fatta. E ne faranno.
Ci sono troppe cose da dire. E, per una volta, riesco ad essere davvero esplicita: il messaggio è forte e chiaro. Ma non parla italiano.
Poi c’è, nei bicchieri dell’ikea pieni d’acqua o succo di frutta, un inconfondibile sapore di casa.
E, troppo presto, c’è un taxi sotto casa per andare alla stazione.
(E sarà il sonno ma, mentre cerco di dormire sui sedili del treno, ho una meravigliosa voglia di piangere)

E poi?

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Tutto comincia verso la metà di giugno un mattino abbastanza presto.

Mi perdo all’aeroporto Charles de Gaulle. Cerco gli arrivi, terminal 2B. Lo percorro tutto, il terminal 2, avanti e indietro. Poi finisco in un altro, il D mi sembra. Di arrivi nemmeno l’ombra. Scendo un piano sotto. Chiedo direzioni a tutti, perfino ai tassisti non sanno mai niente. Seguo le direttive che mi sembrano più affidabili. Ritardo stimato, il mio, 15′. Finalmente ritorno nel terminal 2 e decido di seguire la prima persona con in mano un cartello, sì, uno di quei cartelli con un nome sopra, quelli che si usano per andare a prendere qualcuno che non si conosce all’aeroporto. Non che sia mai capitato a me, ma comunque. La strategia si rivela vincente: dopo forse venti secondi sono agli arrivi, che sono nel bel mezzo del terminal B. Logicamente ci ero passata davanti infinite volte senza notarli. Come la lettera di Poe, mi dico per darmi un tono mentre getto uno sguardo al montor che segnala i voli in atterraggio. Ritardo stimato, del volo, 30′. Mi siedo. Anzi no. Compro dell’acqua. Magari qualcosa da mangiare? Magari no. Apro il mio libro, lo fisso qualche istante, riguardo il monitor. Arrivé. Chiudo il mio libro.

Mi sposto di qui. Vado là. Stavo meglio dov’ero prima.
C’è ancora da aspettare. Riprendo il mio libro. Lo guardo. Si è rovinato nella borsa il mio libro. Cerco di sistemare gli angoli delle pagine. Niente da fare è proprio rovinato. Rimetto il libro in borsa. Scruto le persone che escono dalla porta scorrevole. Mi domando da dove arrivino. Controllo l’ora. Mi guardo intorno. Alla mia sinistra c’è una stanza separata da un vetro. Mi metto a guardarci dentro. Fisso la gente che si dispone lungo il tapis roulant per ritirare i bagagli. Al pensiero bagagli quasi sorrido.

Ma a questo punto mi accorgo che, dall’altra parte del vetro, qualcuno mi sta fissando.

E poi?

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